La magia del nome di Dilip-Da

È così che il nome di Dilip-da mi salvò. È una storia così significativa. Quando arrivai per la prima volta a New York, ottenni un posto come impiegato minore presso il Consolato indiano. Ci lavorai dal giugno 1964 al giugno 1967.

Un giorno fui convocato per andare di sopra e vedere il Console Generale, S.K. Roy, subito. "Cosa ho fatto di sbagliato?" mi chiesi.

Il nome stesso del Console Generale ci spaventava. Era così severo, così potente. In un'altra occasione stavo aspettando l'ascensore. Arrivò e le porte si aprirono un po'. Quando vidi che il Console Generale era dentro, scappai. Mi gridò: "Ghose! Ghose! Entra!" Entrai. Poi mi disse: "Sono una tigre? Sono un serpente? Cosa stai facendo? Perché te ne sei andato?" Allora non sapevo ancora che aveva sviluppato una premura speciale per me.

Comunque, andai di sopra tremante. Tutte le farfalle nel mio cuore volavano! Il Console Generale disse: "Ghose, siediti." Mi guardava in modo molto comprensivo. Poi proseguì: "Ecco una lettera tutta contro di te dallo Sri Aurobindo Ashram. Sta dicendo di non tenerti al consolato indiano. Getti disonore su di esso. Hanno detto ogni genere di cose contro di te. Loro vogliono che io ti licenzi."

Eccomi qui, povero, indifeso, e stavo per perdere il lavoro. Guadagnavo solo 210 dollari al mese e, di questi, sessanta o settanta dollari andavano in affitto. Avevo una stanzetta minuscola in un appartamento con altri due lavoratori. La lunghezza della stanza era solo un piede più lunga della mia altezza. A volte mi facevo male se i miei piedi cadevano nel modo sbagliato. Quando ricordo la mia povertà, piango.

Improvvisamente, di punto in bianco, il Console Generale mi fece una domanda: "A proposito, Ghose, conosci Dilip?"

Ero sorpreso. Dissi: "Signore, intende Dilip Kumar Roy?"

Il Console Generale disse: "Sì".

Risposi: "Conosco Dilip-da così bene. All'Ashram, mi sono crogiolato al sole del suo affetto. È stato sempre molto gentile con me. Posso raccontarle tante storie su di lui."

"Allora di' qualcosa," disse il Console Generale.

Iniziai a raccontargli tutto del mio legame con Dilip-da, a cominciare dal mio taccuino di poesie bengalesi e dai suggerimenti che Dilip-da mi diede. Così tanti avvenimenti ho raccontato. Ho anche detto al Console Generale che avevo inviato di recente a Dilip-da il mio articolo su suo padre, D.L. Roy, e che Dilip-da mi aveva inviato una lettera apprezzando molto l'articolo. Aggiunsi che Dilip-da mi aveva dato un consiglio non richiesto: non importa quanto io soffra in America, di non tornare mai più all'Ashram.

Poi, davanti a me, il Console Generale fece a pezzi la lettera e la gettò via. Non mi mostrò la lettera. Disse: "Sono un amico personale di Dilip. Ora so cosa ha passato."

Circa quindici anni prima, Dilip-da aveva vissuto la stessa cosa quando aveva lasciato l'Ashram e aprì un centro a Pune. Il Console Generale continuò: "Dato che piaci così tanto a Dilip, la faccenda è chiusa." Il Console Generale mi sorrise ed era tutto finito.

Riuscite ad immaginare! Il tocco magico del nome di Dilip-da mi salvò. Altrimenti, lo sa Dio, il mio destino avrebbe preso una piega sbagliata. La mia migliore credenziale era l'affetto di Dilip-da per me. Queste cose mi fanno venire le lacrime agli occhi.