Mahatma Gandhi: il cuore della vita

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Parte I — Il Premio Gandhi (Nota a fine libro)

In occasione del conferimento del Premio

Sri Chinmoy: “Mahatma Gandhi, oh anima luminosa, oh cuore puro, oh men­te sincera, oh vita semplice, a te mi in­chino e mi inchino.

Ahimsa: la luce-di-trasformazione-di-nonviolenza del mondo, avevi. Satyagraha: la delizia-dell'ardore-di manifestazione-della verità, eri. Eri la voce inestimabile dell'anima dell'India. Eri la scelta indiscutibile del cuore dell'India.

Mahatma, eri allo stesso tempo il fiore-bellezza-della-speranza dell'India e il giardino-fragranza-promessa dell'India. La tua grandissima anima bril­lerà perennemente nel cuore di gratitu­dine dell'India sul sentiero della vita. Il tuo nome esteriore fu la vita di grandez­za trascendentale del Sole. Il tuo nome interiore fu il cuore di bontà universale della Luna.

Mahatma, in te l'India ha scoperto le campane che risvegliano il cuore dell'India. In India tu hai scoperto le trombe che invitano il mondo.

Mahatma, a te mi inchino e mi inchi­no.

Bharatiya Vidya Bhavan, oggi hai be­nedetto me, il mio cuore di aspirazione e la mia vita di dedizione, con il premio Gandhi Universal Harmony Award. In­vero, questo non è un premio; questa è una benedizione supremamente santifi­cata e divinamente preziosa. Bharatiya Vidya Bhavan, le lacrime di gratitudine e i sorrisi di gratitudine del mio cuore, ri­cevono la vostra luce di benedizione inondata di compassione: l'impareggiabi­le oceano-della-profondità-della-saggez­za e vette-della-montagna-della-cultura, dell'India, per elevare in alto, in alto, in alto, l'aspirante coscienza dell'umanità che cerca la verità e che ama Dio.”

Parte II — Discorsi

Mahatma Gandhi (Nota a fine libro)

Mohandas Karamchand Gandhi era meglio conosciuto come Mahatma Gandhi. "Mahatma" significa "Grande anima". I suoi seguaci e ammiratori gli attribuirono questo titolo significativo, ma l'umiltà piena d'anima del Mahatma negò con veemenza il titolo. Per essere esatto, Mahatma Gandhi aveva altri due nomi: ahimsa: nonviolenza, e satyagra­ha: forza dell'anima.

Gandhi annuncia: "Il devoto della non­violenza deve coltivare la capacità di sa­crificio del tipo più elevato per essere li­bero dalla paura. Non si preoccupa di perdere la sua terra, la sua ricchezza, la sua vita. Chi non ha vinto tutta la paura non può praticare la nonviolenza alla perfezione."

Gandhi proclama: "Satyagraha è una forza che agisce silenziosamente e, in ap­parenza, lentamente. In realtà, non c'è forza al mondo che sia così diretta o così rapida nell'operare."

Gandhi nacque in una famiglia ricca, ma a entrambi i genitori non importava nulla della cosiddetta ricchezza materia­le. Si preoccupavano di qualcos'altro, della ricchezza interiore. L'indifferenza di suo padre per la ricchezza materiale, il suo cervello orientato alla politica e la sua enorme volontà; di sua madre la pie­tà, la purezza, la semplicità, la sincerità, la fame interiore, la coscienza dell'anima; e di sua moglie l'ispirazione, il servizio devoto, il sacrificio costante: erano tutti presenti nella vita di Gandhi.

Andò in Inghilterra per studiare legge quando aveva diciannove anni. Tre anni dopo tornò in India e iniziò a praticare l’avvocatura. Ahimè, in quei giorni, nella sua pratica, ricevette la ghirlanda non della vittoria, ma del triste fallimento. A quel punto cercò di diventare un inse­gnante di scuola superiore a Bombay… anche qui Dio gli negò il successo. La do­manda di Gandhi per diventare inse­gnante non fu accolta… Ma nel 1893, l'opportunità bussò alla porta della sua vita. Il cuore di questo giovane avvocato soffriva per i suoi connazionali vittime di spietate ingiustizie in Sud Africa. Partì per l'Africa. Difese il loro caso, la loro causa. Li aiutò e li servì. Lì, in Africa, di­venne gradualmente un avvocato del grado più alto. Mahalakshmi, la Dea del­la bellezza e dell'abbondanza, benedisse il suo cuore con la bellezza, e la sua vita esteriore con l’abbondanza. Il denaro, l'uccello, volò verso di lui e si sedette dolcemente sulla sua mano. Il successo, il cane, corse verso di lui e si sedette fedel­mente ai suoi piedi.

Dietro l'uccello e il cane, arrivò un es­sere umano da una terra lontana, ispirò il suo cuore di aspirazione e illuminò la sua mente ricercatrice, per realizzare gli ideali della sua vita. La vita di Gandhi di­venne la perfetta espressione dell'ispira­zione di Tolstoj. Al fine di mettere in pratica i suoi ideali, mise da parte la co­rona e il trono delle sue conquiste este­riori. Abbracciò l'ahimsa. Abbracciò il satyagraha. Fu uno di coloro che risve­gliarono la nazione addormentata e ispi­rarono il Paese oppresso e depresso, a uscire dal giogo straniero. Ebbe successo. A questo punto, il suo fragile corpo non era più estraneo a brutalità disumane. Dovette subire, più volte, severe pene de­tentive. Dopo essere stato imprigionato per la prima volta, l'11 gennaio 1908, os­servò:

"Ci sentiremo felici e liberi come un uccello, anche dietro le mura della pri­gione. Non ci stancheremo mai di andare in prigione. Quando l'intera India avrà imparato questa lezione, sarà libera. Per­ché, se il potere alieno trasforma l'intera India in una vasta prigione, non sarà in grado di imprigionare la sua anima."

La sua liberazione dall'ultima reclusio­ne avvenne il 6 maggio 1944. Trascorse in carcere non meno di duemilatrecento­trentotto giorni.

La sua vita esteriore soffrì. La sua vita interiore trionfò. La sua vita e la convin­zione della sua anima divennero indivisi­bili. L'indipendenza del suo Paese diven­ne l'oggetto delle preoccupazioni della sua anima. Gli "intoccabili" del suo Paese divennero l'oggetto delle preoccupazioni del suo cuore. Bharat Mata (Madre India) mise le sue mani di Infinita Generosità sulla testa del suo figlio devoto. Gli in­toccabili del suo Paese scoprirono il loro rifugio nel suo cuore sconfinato.

Per la redenzione delle indicibili soffe­renze degli intoccabili, il cuore di supre­mo sacrificio di Gandhi esprime:

"Non voglio rinascere, ma se devo ri­nascere dovrei rinascere intoccabile, per condividere i loro dolori, le loro sofferen­ze e gli affronti loro rivolti, per cercare di liberare me stesso e loro, dalle loro con­dizioni miserabili."

Conosciamo tutti la suprema necessità dell'umiltà nella vita di un cercatore. Se non c'è umiltà, non c'è Realizzazione del­la Verità Infinita. Bisogna essere umili come la polvere. Ma l'umiltà di Gandhi vuole andare oltre. Lui dice: "Il cercatore della verità dovrebbe essere più umile della polvere. Il mondo calpesta la polve­re sotto i suoi piedi, ma il cercatore della verità dovrebbe umiliarsi così tanto che anche la polvere potrebbe calpestarlo. Solo allora, e non fino ad allora, egli avrà un assaggio della verità."

Il mondo, specialmente il mondo cri­stiano, ha paura delle conseguenze del peccato. Un cristiano è più preoccupato del proprio peccato di qualsiasi altro uo­mo sulla Terra. Il cuore indiano in Gandhi parla del peccato: "Io non cerco redenzione dalle conseguenze del pecca­to, io cerco di essere redento dal peccato stesso."

Un Vedantino, uno studioso del Ve­danta, proclamerà che non esiste il pec­cato. È solo un gioco d'ignoranza.

Gandhi mette in luce il concepimento e la continenza:

"Penso che sia il colmo dell'ignoranza credere che l'atto sessuale sia una fun­zione indipendente, necessaria come dormire o mangiare. Il mondo dipende per la sua esistenza dall'atto della gene­razione, e poiché il mondo è il 'parco giochi' di Dio e un riflesso della Sua Glo­ria, l'atto della generazione dovrebbe es­sere controllato, per la crescita ordinata del mondo. Colui che realizza questo, controllerà la sua lussuria ad ogni costo, si doterà della conoscenza necessaria per il benessere fisico, mentale e spirituale della sua progenie, e darà il beneficio di tale conoscenza ai posteri."

Madre Terra è veramente orgogliosa della sincerità di suo figlio Gandhi. Egli disse: "Per me l'osservanza del brahma­charya [castità] anche corporeo è stata piena di difficoltà. Oggi, cioè all'età di sessant'anni [1929] posso dire che mi sento abbastanza al sicuro, ma devo an­cora raggiungere la completa padronan­za del pensiero, che è così essenziale."

Gandhi si sposò all'età di 13 anni ed ebbe quattro figli.

Il digiuno ha giocato un ruolo impor­tante nella vita di Gandhi. Il suo valido consiglio è: "Mangia solo quando hai fa­me e quando hai lavorato per procurarti il cibo." Questo mi ricorda una storia Zen:

Il maestro Zen cinese Hyakujo, lavo­rava molto duramente con i suoi disce­poli, anche alla veneranda età di ot­tant'anni. Era solito potare gli alberi, pu­lire i terreni, curare il giardino e così via. I suoi discepoli erano molto colpiti da questi sforzi. Sapevano bene che non sarebbe servito a nulla suggerirgli di smettere di lavorare, non li avrebbe ascoltati. Poi un'idea brillante balenò nelle loro menti: nascosero i suoi attrez­zi. Il Maestro fece la sua parte: smise di mangiare. Questo continuò per diversi giorni. I discepoli scoprirono perché non mangiava. Gli restituirono i suoi stru­menti… con un sorriso, egli prese gli attrezzi ed esclamò: "Niente lavoro, nien­te cibo!" Ricominciò a mangiare come al solito.

Gandhi digiunava spesso, per riuscire ad ottenere i suoi risultati. Racconterò due episodi divertenti ma significativi nella vita di Gandhi. Sua moglie una vol­ta risparmiò venticinque rupie da spen­dere per uno scopo speciale. Quando Gandhi ne venne a conoscenza, portò all'attenzione del pubblico la condotta della sua povera moglie. Era furioso. Mi­se questo in luce nel suo settimanale Young India con il titolo "La mia ver­gogna, il mio dolore" e osservò un digiu­no di tre giorni! Aveva insegnato a sua moglie che non ci dovrebbero essere effetti personali, e a non accumulare de­naro.

In un'altra occasione Gandhi fece voto che avrebbe digiunato fino alla morte. Il Gurudev di Gandhi, Rabindranath Tago­re, disse subito ai suoi compatrioti, ren­dendosi conto della gravità del voto di Gandhi: "È venuto dopo mille anni. Lo rispediremo di nuovo a mani vuote?"

Tagore una volta osservò:

"Sono diverso da Gandhi per molti aspetti, ma ammiro e venero molto quell'uomo." Almeno in un aspetto della vita, vediamo la differenza tra queste due grandi anime. Nella rinuncia Mahatma ha trovato la sua liberazione, mentre Ta­gore ha trovato la sua liberazione nel frutto dell'adempimento. Tagore canta: "La liberazione non è per me nella rinun­cia. Sento l'abbraccio della libertà in mil­le legami di gioia." I veggenti delle Upa­nishad cantano attraverso il cuore del Mahatma: tena tyaktena bhunjita: gioisci attraverso la rinuncia.

Il primo ministro Nehru, durante il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il 13 ottobre 1949, parlò del padre della nazione indiana:

"In India è venuto un uomo della no­stra stessa generazione che ci ha ispirato a grandi sforzi, ricordandoci sempre che il pensiero e l'azione non dovrebbero mai essere separati dal principio morale, che il vero sentiero dell'uomo è il sentiero della verità e della pace. Sotto la sua gui­da abbiamo lavorato per la libertà del nostro Paese, senza ostilità verso nessu­no, e l'abbiamo raggiunta. Lo abbiamo chiamato con riverenza e affetto il Padre della Nazione. Eppure era troppo grande per i confini circoscritti di un qualsiasi Paese, e il messaggio che ha offerto po­trebbe aiutarci a lavorare sui problemi ancor più ampi del mondo."

Quattro giorni dopo, il 17 ottobre, par­lando alla Columbia University, Nehru parlò di nuovo del suo mentore, guida e maestro:

"Il grande leader del mio Paese, il Ma­hatma Gandhi, sotto la cui ispirazione e protezione sono cresciuto, ha sempre po­sto l'accento sui valori morali e ci ha av­vertito di non subordinare mai i mezzi ai fini. Non eravamo degni di lui e tuttavia, al meglio delle nostre capacità, abbiamo cercato di seguire il suo insegnamento. Anche la misura limitata in cui potemmo seguire il suo insegnamento produsse ricchi risultati."

Krishnalal Shridharani, il noto autore di My India, My America, ha qualcosa di divertente ma sorprendente da condivi­dere con noi:

"Una volta fui invitato da una persona, decisamente liberale, a parlare in un gruppo ecclesiastico. Dopo il mio discor­so su Gandhi e la sua nonviolenza, ci sia­mo ritirati nel suo ufficio. Egli era pieno di lodi per il carattere di Gandhi come uomo, i suoi alti ideali, la sua condotta, ma dubitava sinceramente che Gandhi potesse mai entrare in Paradiso fino a quando il peso dei peccati del Santo indù non fosse stato delegato a Cristo. Io ri­sposi che, secondo il mio modo di pen­sare, la vita di Gandhi era stata l'appros­simazione più vicina alla 'vita di Cristo' ed espressi anche un certo timore per le possibilità che il resto di noi moderni mortali avrebbe, se a Gandhi fosse stato negato il Paradiso!"

Ora ascoltiamo da Gandhi cosa lui stesso ha da dire sulla propria salvezza o sul suo andare in Paradiso:

"Era impossibile per me credere che potessi andare in Paradiso o raggiungere la salvezza solo diventando cristiano. Quando lo dissi francamente ad alcuni buoni amici cristiani, rimasero scioccati! Ma non ci si poteva far niente."

Gandhi dice della religione: "Dopo un lungo studio ed esperienza sono giunto alla conclusione che (1) tutte le religioni sono vere; (2) tutte le religioni contengo­no qualche errore; (3) tutte le religioni mi sono care quasi quanto il mio indui­smo."

Ogni individuo ha diritto ad avere un Dio suo. Ognuno è abbastanza compe­tente da definire Dio, secondo la sua ri­cettività interiore e capacità esteriore. Il Dio di Gandhi non è altro che Verità. Di­ce: "Ci sono innumerevoli definizioni di Dio, perché le Sue manifestazioni sono innumerevoli. Mi travolgono di meravi­glia e timore reverenziale, per un attimo mi stordiscono. Ma adoro Dio soltanto come Verità."

Alcuni personaggi illustri lo hanno definito il San Paolo, San Tommaso e San Francesco d'Assisi dell'era moderna. Io lo chiamo l'Oceano Pacifico dell'Amore del Cuore e della Compassione dell'Anima. Forse mi sbaglio. Forse ho ragione. Ma sono irremovibile nella mia affermazione che il Mahatma Gandhi non è il tesoro esclusivo dell'India, ma un impareggiabi­le orgoglio dell'umanità; e rimarrà tale per secoli.

Satyagraha: lo zelo per la verità

Ci sono due parole, satya e agraha. Sa­tya è la verità e agraha è il desiderio di seguire i principi della verità, il proprio zelo per la conoscenza della verità. Se uno è entusiasta e desideroso di seguire i principi della verità, allora è satyagraha. A volte in India, i lavoratori delle fabbri­che scioperano perché sono scontenti dei loro capi, o alcuni individui che sono di­sturbati dalle politiche del governo di­giunano per diversi giorni per raggiun­gere i propri scopi. Quindi dicono che stanno seguendo la satyagraha.

Ci sono due parole nella vita del Ma­hatma Gandhi: ahimsa e satyagraha. Le persone confondono sempre questi due termini, ma essi non sono affatto la stes­sa cosa. Ahimsa è la nonviolenza. Abbia­mo sempre a cuore l'ahimsa, perché Dio è tutto amore. Dentro di noi ci sono mol­te cose contro cui dobbiamo combattere. Dobbiamo combattere contro l'ignoran­za, il dubbio, la paura, le preoccupazioni e le ansie perché queste cose interior­mente ci ostacolano. Ma la lotta esterio­re, dal punto di vista spirituale, dovrebbe essere evitata.

Di nuovo, può essere Volontà del Su­premo che combattiamo esteriormente, come quando il Signore Krishna chiese ad Arjuna di combattere per sradicare l'ignoranza. Ma il combattimento è ne­cessario solo in occasioni speciali, quan­do è la specifica Volontà di Dio. In gene­rale, non dovrebbe esserci violazione dell'autorità, perché questo distrugge il nostro equilibrio interiore. Qui non mi schiero in politica, né mi riferisco a con­flitti specifici in luoghi specifici. No, è dal punto di vista puramente spirituale che vi dico questo.

Quando cerchiamo di seguire la verità creata dall'uomo, sentiamo di dover giu­stificare questa verità con la nostra men­te razionale. Qualcuno dirà che il suo sti­pendio non è abbastanza alto; quindi se­condo la sua verità, sente che dovrebbe scioperare per ottenere salari più alti. In questo modo, si atterrà alla propria ve­rità. Ma chissà se la sua richiesta è giu­stificata o meno? Ma nella vita spirituale, quando si parla di satyagraha, ha un si­gnificato diverso, si riferisce alla verità spirituale. Qui pensiamo al divino cerca­tore che, con costante gioia interiore, cammina sulla via della verità e dedica tutta la sua vita alla verità.

Nel satyagraha ordinario, cerchiamo di ottenere la verità con le buone o con le cattive. Continueremo a digiunare, o faremo sciopero, e in questo modo cer­cheremo di portare a termine la cosa. Ma il vero satyagraha, dal punto di vista spi­rituale, non è così. Lì vogliamo vedere la verità attraverso la resa alla Volontà di Dio. Il cercatore vuole perseguire la ve­rità, ma mentre persegue la verità sente la necessità di arrendersi alla Volontà di Dio. Sente che è la Volontà di Dio che gli sta dando la capacità di seguire la via della verità, ed è la Volontà di Dio che gli darà la capacità di vedere la verità.

Nel satyagraha ordinario, l'individuo vive ventiquattr'ore al giorno senza la verità, ma per soddisfare le esigenze del suo fisico, vitale e della sua mente, vuole mostrare al mondo che sta seguendo il sentiero della verità e offrendo luce al mondo. Questo non è affatto spirituale. Ma nel satyagraha spirituale, si vede la verità e si anela ad essere la verità stessa; si vuole soltanto essere il tedoforo della verità. Poi ci si attiene alla verità e si offre la propria vita alla verità. Non si supplica Dio per la realizzazione dei pro­pri desideri. Ci si arrende e si dice a Dio: "Se è Tua Volontà, fai tale cosa per me. Se non è Tua Volontà, non farla. Voglio solo appagarti."

Quindi nella vita spirituale, satyagra­ha significa resa, totale e devota, alla Vo­lontà della Verità, e questa Verità è Dio. Il nome di Dio è Verità. Come possiamo ottenere la Verità? Non per forza, non per coercizione, ma solo per aspirazione costante e resa costante alla Volontà del­la Verità, alla Volontà di Dio.

Mahatma Gandhi: il padre del rinascimento indiano

La struttura fisica del Mahatma Gandhi era molto fragile e debole, ma la sua struttura fisica incarnava la luce in­teriore in grande misura. La sua capacità mentale non era allo stesso livello di quella di Nehru e di altri, ma la luce della sua anima guidava il destino dell'India, e i leader, che erano grandi pensatori, se­devano ai suoi piedi. Come mai? Proprio perché egli vedeva una luce superiore, una verità superiore, che voleva espri­mere attraverso la sua filosofia di ahim­sa, o nonviolenza.

Ahimsa non significa che non si colpi­rà qualcuno o non si combatterà con qualcuno. La nonviolenza di Gandhi era la visione della Luce universale e tra­scendentale nell'umanità. Questa è la vi­sione che aveva e incarnava, e che vole­va rivelare. Ecco perché diventò il leader supremo e impareggiabile dell'India.

Un vero leader è colui che ha una luce interiore in misura illimitata; è lui che rappresenta l'anima dentro il fisico, fuori dal fisico, ovunque. Colui che vuole tra­smettere il messaggio dell'anima, è il ve­ro leader.

Ahimsa: nonviolenza

Cos'è la nonviolenza? Il fiore dell'ani­ma del Cielo e il profumo del cuore della Terra.

6.

La non-resistenza è il potere supremo che alla fine conquista il potere spropor­zionato del militarismo.

7.

Il modo in cui il patriottismo viene espresso in un Paese può essere diverso dal modo in cui viene espresso in un al­tro, ma l'essenza rimane la stessa. L'espressione esteriore può non essere la stessa, ma la sostanza interiore è identi­ca.

L'approccio principale dell'India è sta­to ahimsa, la nonviolenza. Il padre della nostra nazione, il Mahatma Gandhi, ci ha insegnato la nonviolenza. L'India pensa­va che la nonviolenza fosse la fonte della luce. In silenzio, l'India ha combattuto contro la violenza, e in realtà è stata que­sta fonte di luce che ha portato alla liber­tà dell'India.

Di nuovo: sul piano esteriore, milioni di persone hanno sacrificato le loro pre­ziose vite per il loro Paese, perché la luce della loro anima li ha obbligati a farlo.

Nella vita esteriore ogni Paese può av­vicinarsi al patriottismo in un modo di­verso, o il patriottismo stesso può gui­dare o condurre i patrioti in un modo di­verso. Ma l'essenza del patriottismo ri­marrà la stessa, nel senso che bisogna sempre dipendere e fare affidamento sul­la fonte, che è l'anima del Paese.

8.

Dobbiamo avere forza interiore per iniziare a diffondere la pace. Come ha detto il Mahatma Gandhi, una cosa è col­pire qualcuno: questo è un tipo di forza; ancora una volta: portare avanti la forza interiore e astenersi dal colpire qualcuno è un altro tipo di forza. C'è un tipo di forza per alzare la mano e un altro tipo di forza per mantenerla al proprio fianco. La forza non viene solo nel movimento. La forza si trova anche nel rimanere cal­mi, quieti, silenziosi. Questa è la forza statica.

9. Dio è Verità

L'induismo si aggrappa alla legge inte­riore della vita che è l'eredità comune dell'umanità. Finché qualcuno è un cer­catore della verità, non importa se è tei­sta, ateo o agnostico. Ogni anima umana ha il suo posto nell'ideale indù di spi­ritualità. Significative sono le parole di Gandhi: "L'induismo è un incessante ri­cerca della verità. È la religione della ve­rità. La verità è Dio. Abbiamo conosciuto la negazione di Dio, non abbiamo cono­sciuto la negazione della verità."

Dio è tutto

Per me Dio non è solo l’Essere, o lo Spirito, più splendente; per me Dio è tutto. Tutto ciò che è creazione di Dio, incarna Dio. Tutto ciò che può essere vi­sto nella creazione di Dio, è di Dio e per Dio. Tutto ciò che apprezzi qui sulla Ter­ra non è solo un'incarnazione di Dio, ma Dio stesso.

Quando pensiamo a Dio in Cielo, ab­biamo più fede in Lui. Ma Dio è anche qui sulla Terra: dentro di me, dentro di te, dentro ognuno. Dio può essere oltre qualsiasi forma, o senza forma, come Lu­ce infinita, Pace infinita, Beatitudine in­finita. Ancora, può essere nei nostri cuo­ri, dove si trova la nostra vera esistenza. E se apriamo gli occhi e guardiamo la natura, le montagne e i fiumi, anche quello è Dio.

Quindi, non importa in che modo ap­prezziamo la realtà o vogliamo identifi­carci con la realtà, dobbiamo sentire che stiamo apprezzando e identificando noi stessi con la Divinità, e questa Divinità la chiamiamo Dio, o Spirito, o Essere. Se non vuoi chiamarlo Dio, sei perfettamen­te libero di farlo. Ma devi chiamarla felicità. La felicità stessa è Dio. Puoi ap­prezzare la bellezza della natura e se sei felice, allora la felicità che stai ricevendo è Dio. In una parola, se Dio dev'essere definito, allora Dio è felicità.

Puoi dimenticare la parola "Dio" e dire "Verità". Uno dei grandi politici e grandi Santi dell'India, il Mahatma Gandhi, dis­se: "Se dici 'Dio' alcune persone si oppor­ranno immediatamente al concetto; ma se parli di 'Verità', tutti saranno d'accor­do con te." Quindi se parlo di Verità, Ve­rità sconfinata dentro la natura, allora sono soddisfatto, perché questa Verità mi sta dando felicità. Quindi tutto ciò che dà felicità è Dio. Può essere la natura; può essere un Essere personificato e anche un Essere senza forma. Dio è tutto.

Martin Luther King e Gandhi (nota a fine libro)

Martin Luther King, amato Re del mondo del cuore, sconfinata visione del mondo della mente, eroe-guerriero del mondo vitale, colui che sacrificò la vita del mondo del corpo: a te la mia vita di aspirazione-dedizione si inchina.

Il Figlio-Salvatore diede all'umanità la lezione della compassione e del perdono. Il Mahatma Gandhi indiano, con il suo messaggio di nonviolenza, si rivelò un eccellente studente. In America il Supre­mo Assoluto, scelse te, perché tu fossi il Suo allievo impareggiabile, per amare di­vinamente l'anima della Sua Creazione e per servire senza riserve il corpo della Sua Creazione.

Noi, i membri del Gruppo di medita­zione delle Nazioni Unite, ci inchiniamo a te con amore, devozione e sentimento.

Sri Chinmoy, 29 novembre 1977

13: Un Santo patriota

"Mahatma" significa "Grande anima" e così era. Ma dal punto di vista stretta­mente spirituale, il Mahatma Gandhi non era uno yoghi. Era un patriota, un leader politico, un martire. Ma non era un'anima realizzata come Sri Ramakrish­na, il Signore Buddha e altri. Si può dire che fosse un Santo religioso. Non aveva la Realizzazione di sé, ma aveva un amo­re sconfinato per l'umanità, e la sua in­terpretazione di Dio è unica. Disse: "La Verità è Dio. La negazione di Dio l'abbia­mo conosciuta. La negazione della Verità non l'abbiamo conosciuta." Per lui, la re­ligione non era altro che la Verità. Visse la vita di un Santo. Dio gli diede amore e compassione illimitati. Questo era il Ma­hatma Gandhi.

14

Il Mahatma Gandhi era un Santo che esprimeva il suo amore in modo patriottico. Un Santo patriota non ha bi­sogno di essere un grande Maestro spi­rituale. Secondo i Maestri spirituali, il Mahatma Gandhi non era un'autorità nella vita interiore, nella vita spirituale; era un'autorità su ciò che era dignitoso, corretto e necessario nella vita sociale indiana e nella politica indiana. Era un grande uomo e un'anima molto grande. La sua visione illuminante era molto più alta e più ampia di quella dei suoi simili. Mostrò la più profonda compassione e unità del suo cuore per i semplici abitan­ti dei villaggi indiani che erano oppressi e abbandonati. Offrì tutta la sua vita per contribuire a risollevare le condizioni delle masse indiane.

Ho una grande ammirazione per la sua completa identificazione con il popo­lo indiano nel nostro movimento per l'indipendenza dell'India.

Parte III — Aneddoti (nota a fine libro)

Gandhi supera l'esame

Gandhi non avrebbe mai detto una bu­gia. Una volta l'ispettore visitò la sua classe di scuola e fece un breve dettato. La terza parola era "bollitore". Gli amici di Gandhi erano in grado di sillabare correttamente la parola, ma sfortunata­mente Gandhi non sapeva farlo.

L'ispettore iniziò a passare da tutti gli studenti per controllare i fogli. L'inse­gnante vide che l'ortografia di Gandhi era sbagliata, quindi con il piede toccò la gamba di Gandhi per attirare la sua at­tenzione. Con gli occhi stava dicendo a Gandhi di guardare il foglio di qualcun altro. Ma Gandhi non voleva copiare da nessuno.

Quando l'ispettore arrivò da Gandhi, disse: "Qui ho trovato un errore. Questo ragazzo non sa come si scrive 'bollitore'. Ha scritto 'ketle'."

L'ispettore non si arrabbiò, ma era tri­ste che qualcuno non conoscesse la ri­sposta. Alla fine l'ispettore se ne andò.

L'insegnante era molto arrabbiato con Gandhi. "Ti avevo detto di guardare il fo­glio del tuo amico, ma non mi hai ascol­tato. Sei una disgrazia per la mia classe!"

Gandhi disse: "Forse sono una disgra­zia, ma non posso dire una bugia e non posso dire nulla di falso."

Gandhi era dispiaciuto di aver com­messo un errore e di non essere stato in grado di compiacere il suo insegnante, ma era felice di essersi almeno acconten­tato di essere onesto.

L'insegnante tacque.

L'impareggiabile sincerità di Gandhi

Un amico di Gandhi una volta aveva bisogno di soldi e chiese a Gandhi se po­tesse aiutarlo. Lui dapprima disse: "Non ho soldi." Poi si corresse: "Va bene, farò del mio meglio."

Gandhi rubò un oggetto d'oro a suo fratello e lo vendette, poi diede i soldi al suo amico. In seguito, si sentì infelice per aver rubato.

Diceva sempre tutto a suo padre. Non gli nascondeva alcun segreto. Sebbene suo padre fosse molto malato e costretto a letto, Gandhi gli scrisse un biglietto, di­cendo: "Ho rubato un oggetto d'oro e mi sento molto triste e infelice. Per favore, perdonami."

Non appena suo padre lesse il bi­glietto, si alzò immediatamente dal letto. Gandhi temeva che lo avrebbe colpito. Ma c'erano lacrime agli occhi di suo pa­dre. Allora Gandhi pensò che suo padre fosse molto triste che suo figlio avesse rubato qualcosa a suo fratello, e si sentì ancora più infelice. Ma suo padre strap­pò il biglietto… c'erano altre lacrime nei suoi occhi.

Gandhi assicurò a suo padre: "Padre, non ruberò mai più. Questa è la prima e ultima volta. Per favore, non piangere."

Suo padre era così commosso che piangeva e piangeva. "Sto piangendo, fi­gliolo, non perché hai rubato qualcosa, ma per la tua sincerità. Sei sempre così sincero! Non ho mai visto nessuno since­ro come te. Piango per la tua sincerità, non perché hai commesso un furto. Sono così orgoglioso della tua sincerità e one­stà!"

Gandhi e la carne di capra

Quando aveva tredici anni, Gandhi si sposò con una ragazza della stessa età. I due erano estremamente affezionati l'uno all'altra. Quando Gandhi aveva cir­ca diciotto anni, voleva andare in Europa per continuare gli studi universitari. A quel punto, suo padre era morto e sua madre era a capo della famiglia. Anche i parenti di Gandhi volevano che andasse in Europa, e chiesero a sua madre di mandarlo. Ma lei era molto preoccupata. Disse: "No, no. Se lo mando in Europa, sarà rovinato. Ora è così vicino a me. Lì inizierà a bere, mangiare carne e fre­quentare donne."

Gandhi promise a sua madre che non avrebbe bevuto, mangiato carne o fre­quentato donne, e mantennne la sua pro­messa. Dopo aver conseguito la laurea in giurisprudenza, tornò a casa. Al suo ritorno scoprì che sua madre era morta.

Gandhi aveva un amico musulmano che cercava sempre di persuaderlo a mangiare carne. "No" gli rispondeva Gandhi. "Gli indù non mangiano carne, specialmente quelli della la mia casta. I miei antenati non hanno mai mangiato carne."

Ma l'amico insisteva. "Se non mangi carne, rimarrai debole. Devi mangiare carne se vuoi essere fisicamente forte."

Gandhi voleva essere forte fisicamen­te. "Sei sicuro che mi renderà forte?" chiese.

"Sì" rispose il suo amico musulmano.

Poiché Gandhi era molto debole, una sera assaggiò della carne di capra. Quella notte Gandhi vide la capra, che piange­va, nel suo stomaco! La capra era così in­felice!

Gandhi gridò: "Non posso più man­giare carne! Ho visto la capra piangere dentro di me." E smise di mangiare carne per sempre.

Ma amava il latte di capra e lo beveva. "Si può bere il latte di capra" diceva "ma non la carne di capra."

La cravatta di Gandhi

Gandhi aveva lavorato come avvocato in Sud Africa. Voleva risparmiare, poiché lì tutto era molto costoso. Dato che i la­vandai avevano tariffe molto elevate, Gandhi pensò di lavarsi i panni da solo. Lesse alcuni libri su come lavare i vestiti correttamente, come stirare e così via.

Un giorno, mentre stava lavando gli abiti, usò troppo amido su di una cra­vatta, che poi non asciugò nel modo giu­sto. Quel giorno, quando andò in tribu­nale, i suoi amici notarono qualcosa di divertente nella sua cravatta e iniziarono a ridere.

"Hai la cravatta piena di amido!!"

Gandhi disse: "Voi mi deridete, ma io vi dò gioia! Non è facile dare gioia alle persone. Sto ancora imparando a lavare i vestiti: voglio assolutamente risparmiare e i lavandai fanno prezzi molto alti. Pre­sto diventerò un esperto, ma ora vi sto dando gioia, quindi sono molto felice. È una cosa difficile dar gioia agli altri, ma io lo sto facendo. Pertanto, sono or­goglioso di me stesso!"

L'autosufficienza di Gandhi

Un giorno Gandhi andò da un barbiere inglese per farsi tagliare i capelli. Ma il barbiere gli disse: "Non ti taglio i capelli, negro, vattene!"

Gandhi era infelice, ma come sempre, perdonava. Quindi disse: "Ha ragione. Se mi taglia i capelli, chissà cosa accadrà! Combattiamo continuamente contro gli inglesi. Loro pensano che siamo persone inferiori. Forse il suo principale la licen­zierà se mi taglia i capelli. Dopotutto, i nostri barbieri non taglierebbero i capelli a qualcuno di una casta inferiore. Secon­do gli inglesi, siamo inferiori. Ecco per­ché il barbiere britannico non mi taglia i capelli. Cosa posso fare? Non andrò da un altro barbiere per ricevere altri insul­ti!"

Così Gandhi si tagliò i capelli da solo. Davanti a uno specchio, iniziò con la parte anteriore. La parte anteriore riuscì bene, ma quella posteriore non altrettan­to.

Il giorno dopo, quando Gandhi andò alla corte di giustizia, tutti risero e risero. "Perché non sei andato dal barbiere?" chiesero.

"Un barbiere mi ha insultato" disse Gandhi. "Ha perfettamente ragione. Per­ché dovrebbe tagliarmi i capelli? Va be­ne, prendetemi in giro. Un giorno im­parerò a tagliarmi i capelli e anche a la­vare le cose. Voglio essere autosufficien­te. Quando sarò autosufficiente, sarò davvero felice. Sono sicuro che ora siete felici perché mi state prendendo in giro, e io sono felice di potervi dare gioia. Ma verrà un giorno in cui sarete orgogliosi di me. Imparerò a tagliarmi i capelli da solo. Voglio essere autosufficiente in tutti i modi. Oggi la mia incapacità vi rende felici. Un giorno la mia capacità vi renderà felici."

Hai dimostrato di essere la mia vera moglie

Gandhi stava tornando in India dal Sud Africa. Molti amici e avvocati ven­nero alla sua festa di addio, per salutare lui e la sua famiglia. La famiglia ricevette regali molto costosi e la moglie e i figli di Gandhi ne furono particolarmente felici.

Gandhi rinunciava sempre alle cose, quindi diceva: "Perché mi danno tutte queste cose? Mi legano solamente, e io voglio essere libero. Voglio davvero dare via la maggior parte di queste cose; vo­glio dare via tutto ciò che ho, che non serve!"

La moglie e i figli dissero: "Abbiamo bisogno di alcune di queste cose. Per fa­vore, non regalare tutto."

Poi Gandhi vide che qualcuno aveva regalato alla moglie dei gioielli molto co­stosi e belli. "Non posso tenerli" le disse.

"Questo gioiello è stato dato a me" dis­se lei "non a te."

Ma Gandhi disse: "È grazie a me che ti conoscono. Altrimenti non te lo avrebbe­ro dato."

La moglie disse: "Perché sono entrata nella tua vita? Ci sono così tante persone sulla Terra, ma sono io che sono stata scelta per essere tua moglie; questo tipo di discussione non finirà mai… non ri­nuncerò a questi gioielli!"

I bambini si schierarono dalla parte del padre. "Grazie a nostro padre hai avuto i gioielli, ora devi rinunciarvi!"

La moglie si arrabbiò: "Non li darò via!"

Ma Gandhi disse: "Domani prenderò questi costosi gioielli e li venderò, e metterò i soldi in banca. I soldi saranno solo per coloro che amano il loro Paese e servono il loro Paese. Prenderanno i sol­di da quella banca e li spenderanno per liberare il loro Paese, e per nient'altro."

I bambini si schierarono di nuovo dal­la parte del padre. "È una bellissima idea, padre! Facciamolo!"

La moglie disse: "Stupidi! Siete dalla parte di vostro padre, ma io ho bisogno di questi gioielli per voi, per le vostre mogli. Vostro padre regala tutto. Che co­sa avete per le vostre famiglie?"

I bambini ridevano e ridevano: "Non dobbiamo pensarci adesso! È troppo pre­sto!"

Alla fine la moglie di Gandhi disse: “Va bene, nemmeno io ne ho bisogno… Dato che vostro padre ha rinunciato a tutto, non ho bisogno nemmeno io di questo."

Gandhi disse: "Finalmente hai dimo­strato di essere la mia vera moglie!"

L'ashram di Gandhi

Dopo aver lasciato l'Africa ed essere tornato in India, il Mahatma Gandhi aprì un ashram su richiesta dei suoi amici in­timi. I membri più stretti della sua fami­glia e alcuni amici andarono a vivere nell'ashram. Lì conducevano una vita molto semplice e pia, e pregavano e me­ditavano.

L'ashram era sostenuto da ricchi mer­canti che venivano in molte occasioni; perciò stava andando bene e tutti erano felici che esistesse un ashram così.

Un giorno, Gandhi ricevette una lette­ra da un insegnante. "Sarò così felice e grato se mi permetterai di rimanere nel tuo ashram con mia moglie e mio figlio. Farò qualsiasi cosa tu voglia che faccia." Alla fine della lettera l'insegnante scrive­va: "Solo una cosa esito a dirti, ma devo essere sincero con te. Sono un intoccabi­le."

Quando Gandhi lesse questo, seppellì la testa tra le mani. "O Dio, io amo gli in­toccabili, perché sono figli di Dio. Ma ora la mia famiglia sarà furibonda. Come posso permettere a quest'uomo di en­trare nell'ashram? D'altra parte, come posso rifiutarlo? Ha scritto una lettera così profonda. Mi si spezza il cuore!"

Gandhi parlò della questione con i membri della sua famiglia. Loro furono comprensivi: "Se vuoi avere quest'uomo qui, invitalo sicuramente a unirsi a noi" dissero. Ancora Gandhi esitava. "I mer­canti che sostengono l'ashram sono mol­to fanatici. Appartengono alla società e si preoccuperanno di ciò che la società penserà di loro." Poi Gandhi disse: "No, permetterò a questo insegnante di lavo­rare e vivere qui, nell'ashram!"

L'intoccabile venne all'ashram. Non appena i mercanti lo seppero, smisero di dare soldi a Gandhi. Dissero: "Stai rovi­nando la società. Vieni da una buona fa­miglia, una buona casta. Come puoi fare queste cose? Non ti daremo soldi per so­stenere una cosa così impensabile!"

Gandhi disse loro: "Va bene, non date­ci soldi. Ma se qualcuno vuol servire questo ashram sinceramente e con tutta l'anima, glielo permetterò. Anche gli in­toccabili sono figli di Dio."

Ben presto Gandhi incontrò difficoltà finanziarie. Un giorno, passeggiando per la strada, vide un mercante con una car­rozza. Il mercante gli si avvicinò e gli disse: "Sono un ricco mercante che aiuta­va a sostenere il tuo ashram. Da quando hai fatto entrare un intoccabile nel tuo ashram, non mi è stato più possibile aiutarti, perché ho paura di ciò che po­trebbero dire i miei amici. Il mio cuore è tutt'uno con te, ma devo vivere nella so­cietà. Tu sei al di sopra della società, quindi puoi accogliere un intoccabile nella tua comunità. Ma voglio darti soldi in segreto. Per favore, promettimi che non lo dirai a nessuno."

Gandhi gli promise: "Non lo dirò a nessuno."

Il mercante disse: "Allora domani vieni qui e ti darò una grande quantità di de­naro."

Gandhi credette al mercante e il gior­no seguente tornò nello stesso luogo. Il mercante arrivò e gli diede molto de­naro. Gandhi non conosceva nemmeno il nome dell'uomo, poiché molti mercanti avevano aiutato il suo ashram e non li conosceva tutti personalmente. Gandhi gli chiese il suo nome, ma il mercante non volle dirglielo. "Scusami" disse "non posso dirti il mio nome. La tua è una causa nobile e sono pienamente d'accor­do con te, ma devo vivere nella società, quindi questo deve rimanere un segreto. Stai facendo la cosa giusta; perciò so­stengo la tua causa; ma non è necessario che tu conosca il mio nome."

Quel giorno, il destino di Gandhi cam­biò.

Tagore e Gandhi: hanno ragione entrambi

Tagore e Gandhi sono due persone ec­cezionali. Erano eccellenti amici e aveva­no un grandissimo apprezzamento e am­mirazione l'uno per l'altro. Tagore chia­mava Gandhi "Mahatma" che significa grande anima, e Gandhi chiamava Tago­re "Gurudev" cioè Maestro spirituale, Maestro di saggezza e luce interiori.

Una volta, davanti a molte persone, stavano facendo una semplice discussio­ne. Purtroppo la discussione divenne molto accesa. Alcune persone si schie­rarono dalla parte di Tagore, mentre al­tre si schierarono dalla parte di Gandhi. Un grande artista di nome Nandalal Bose era lì, quindi la gente gli chiese da che parte stesse.

"Ci stiamo schierando" dissero "quindi devi schierarti anche tu!"

"Mi dispiace," rispose l'artista. "Per fa­vore, non chiedetemi di scegliere!"

Tuttavia, tutti volevano sentire la sua opinione. "Devi essere d'accordo con Gandhi o con Tagore. Siamo curiosi di sapere cosa pensi" dissero.

Ancora una volta Nandalal Bose disse: "Non posso schierarmi per nessuna delle due parti."

"Cosa intendi?" gli chiesero. "Non hai un tuo proprio pensiero?"

Alla fine Nandalal Bose disse: "Sono un artista. Se mi chiedete quale colore mi piace di più, devo dire che sento che tutti i colori sono validi; per me sono tutti ec­cellenti. Ecco, ho grande ammirazione per questi due signori, quindi per me hanno ragione entrambi. Non mi schie­rerò per nessuna delle due parti. Sia Ta­gore che Gandhi hanno ragione."

Il sacrificio supremo di Gandhi Buri

C'era un'anziana signora estrema­mente patriottica che aveva 73 anni. Era la più grande ammiratrice del Mahatma Gandhi; il suo stesso nome le dava un mare di ispirazione. Voleva che il gover­no britannico lasciasse l'India e fece mol­te cose patriottiche che sono state estre­mamente stimolanti per le donne india­ne. A causa della profonda ammirazione di questa signora per il Mahatma Gandhi, tutti la chiamavano "Gandhi Bu­ri", "buri" che significa "anziana signora".

Nel 1942 Gandhi fu arrestato e tutta l'India s’infuriò. In molti luoghi le perso­ne tenevano processioni, usando lo slogan "Quit India" che era l'offerta del Mahatma Gandhi ai suoi fratelli e sorelle dell'India. Il giorno dopo l'arresto di Gandhi, Gandhi Buri fu coinvolta in una marcia verso una stazione di polizia. Le persone in processione volevano togliere la bandiera britannica da sopra la stazio­ne di polizia e issare la bandiera indiana.

La polizia si mise di mezzo e avvertì i manifestanti che se si fossero fatti avanti di un altro passo, avrebbero sparato.

Tutti i manifestanti si fermarono, tran­ne Gandhi Buri. Ella strappò la bandiera dell'India ad uno dei ragazzi del corteo, e corse verso la stazione di polizia. La poli­zia prima rise di lei. "Basta, basta! Ferma! Via di qui, vecchia. Non vogliamo ucci­derti!" gridavano.

Ma Gandhi Buri gridò: "Uccidetemi, non ho paura di voi. Voglio liberare mia Madre India!"

Corse verso la scala che portava in ci­ma alla stazione di polizia. Prima che raggiungesse la scala, la polizia sparò. Con la mano destra teneva ancora la bandiera mentre cantò alcune volte: "Bande Mataram, Bande Mataram, Bande Mataram" (Madre, mi inchino a te). Poi lasciò il corpo.

Quest’anziana signora di 73 anni fu così coraggiosa che diede la vita per il suo amato Paese. C'erano alcuni ragazzi nel corteo che gridavano e urlavano con­tro gli inglesi, ma quando venne il mo­mento per loro di sacrificare la vita, esi­tarono. Ma Gandhi Buri con devozione e orgoglio diede la sua vita. Da quel gior­no, le persone che erano in quella pro­cessione divennero più ispirate a dedi­care la propria vita totalmente alla liber­tà dell'India.

Note dell'edizione originale

Premio Gandhi: il 28 ottobre 1994, Sri Chinmoy e Coretta Scott King furono i primi due destinatari del Premio Gan­dhi per i loro contributi alla pace e all'armonia universali. Il premio è stato conferito dal Bharatiya Vidya Bhavan, preminente istituzione culturale dell'India.

Mahatma Gandhi (da pagina 12): il 1 aprile 1969, Sri Chinmoy fu invitato dal Dr. Varma a nome del Ministero degli Affari Esteri del governo della Giamaica, Indie occi­dentali, a parlare al pubblico durante le celebrazioni in Giamaica del centenario della nascita del Mahatma Gandhi. Il discorso che Sri Chinmoy ha tenuto è stato suc­cessivamente stampato nella rivista 'Il Faro di Madre India'. Martin Luther King e Gandhi: omaggio al Dr. Martin Luther King alle Nazioni Unite. Al programma ha parteci­pato la signora Coretta Scott King.

Parte III - Aneddoti: Sri Chinmoy ha raccontato le storie sul Mahatma Gandhi nel 1979.

ooo Revisione della traduzione, agosto 2023 ooo