Il respiro dell'Induismo è la spiritualità, qualsiasi cosa faccia un induista, lo fa come mezzo per questo fine. È vero che, come qualsiasi altro individuo, egli vuole portare a termine tutto ciò che è possibile qui sulla terra, ma la cosa importante è che non fa e non può fare niente sacrificando la propria vita spirituale. Per lui, la vita spirituale è l'unica vita che alla fine potrà cingerlo con la ghirlanda di vittoria della vera Perfezione.
Nella vita spirituale, la parola "peccato" è usata molto spesso. A questo proposito devo dire che un induista non ha niente a che fare con il “peccato”, egli prende in considerazione solamente due cose: l’ignoranza e la luce. Con la luce dell’anima, vuole nuotare attraverso il mare dell'ignoranza e trasformare il suo sé inferiore nel suo Sé superiore.
Tena tyaktena bhunjita, "Sii felice attraverso la rinuncia." Questo è il messaggio di vita dei veggenti indù. Quello a cui si deve rinunciare è la sequela dei nostri desideri, nulla di più e nulla di meno. Con la rinuncia a tutti i nostri desideri terreni, possiamo gustare il vero appagamento divino.
Vi ho già detto che il respiro dell'Induismo è la spiritualità. Nella vita spirituale il controllo dei sensi gioca un grande ruolo, cerchiamo quindi di capire chiaramente la funzione dei sensi. Un devoto induista sente che i suoi sensi non sono fatti per essere mortificati. I sensi sono i suoi strumenti, il loro aiuto è indispensabile. I sensi dovrebbero e devono essere pienamente efficienti, per lo scopo divino di una completezza appagante ed integrale, solo allora la vera divinità può manifestarsi nella vita umana.
L’indulgere ai piaceri finisce con l’assoluta frustrazione. Povera umanità! È così prodiga nell'usare ed esaurire i piaceri del corpo e certamente l’uomo non è mai così prodigo nella vita come nell’auto-indulgenza. Ahimè, con sua grande sorpresa, prima che esaurisca i piaceri del corpo, la stessa vita dell’uomo si esaurisce nella futile nullità. È arrivato il tempo in cui l’animale nell’uomo lasci il posto al divino; la brutalità non conquista, uccide.
La spiritualità è l'amore che tutto abbraccia, questo amore conquista l’uomo e lo rende consapevole della sua vera divinità interiore, in modo che possa realizzarsi e divenire un canale perfetto per la manifestazione di Dio. L’uomo può creare dentro se stesso questo amore o questo legame d’amore per legarsi o unirsi con altri uomini, sia compatrioti che di altre nazioni. Questo è quello che sente un devoto induista.
Se non c’è alcun movimento, non c’è progresso, il movimento ha bisogno di guida e la guida è la conoscenza, ma l’uomo deve sapere che la conoscenza intellettuale può aiutarlo solamente in parte. Con tale aiuto, non può in nessun modo avvicinarsi alla Meta: è la conoscenza dell'anima che garantisce all’uomo la sua realizzazione di Dio.
Robert Browning disse:```
Più liberi sembriamo,
Più strettamente siamo subito incatenati.```
L’uomo è confinato nel finito, ma non può essere incatenato dal finito. L’uomo si è arreso al tempo ed allo spazio, ma né il tempo né lo spazio lo hanno costretto ad arrendersi. L’uomo tenta di possedere la bellezza del finito e pensa di potersi legare al finito, di esser capace di possederne la bellezza. Ahimè, invece di possedere, è già posseduto. Tempo e spazio l'hanno adescato, pensava che sarebbe stato capace di possederli con il suo arrendersi. Essi accettarono volentieri la sua resa, ma sono diventati suoi spietati padroni. Il possesso non è unità; la conquista non è unione. La visione dell'Induismo è unità nella diversità. All’inizio l'Induismo abbraccia amorosamente gli elementi estranei; in un secondo momento, cerca di assimilarli; dopo di che, cerca di espandere se stesso come un tutto, nell’intento di servire l’umanità e la natura. In effetti questo è il segno dell’energica e dinamica aspirazione della sua vita.From:Sri Chinmoy,Yoga e vita spirituale. Il viaggio dell'Anima dell'India., Agni Press, 1971
Sourced from https://it.srichinmoylibrary.com/ysl