Parte II — Discorsi

Mahatma Gandhi (Nota a fine libro)

Mohandas Karamchand Gandhi era meglio conosciuto come Mahatma Gandhi. "Mahatma" significa "Grande anima". I suoi seguaci e ammiratori gli attribuirono questo titolo significativo, ma l'umiltà piena d'anima del Mahatma negò con veemenza il titolo. Per essere esatto, Mahatma Gandhi aveva altri due nomi: ahimsa: nonviolenza, e satyagra­ha: forza dell'anima.

Gandhi annuncia: "Il devoto della non­violenza deve coltivare la capacità di sa­crificio del tipo più elevato per essere li­bero dalla paura. Non si preoccupa di perdere la sua terra, la sua ricchezza, la sua vita. Chi non ha vinto tutta la paura non può praticare la nonviolenza alla perfezione."

Gandhi proclama: "Satyagraha è una forza che agisce silenziosamente e, in ap­parenza, lentamente. In realtà, non c'è forza al mondo che sia così diretta o così rapida nell'operare."

Gandhi nacque in una famiglia ricca, ma a entrambi i genitori non importava nulla della cosiddetta ricchezza materia­le. Si preoccupavano di qualcos'altro, della ricchezza interiore. L'indifferenza di suo padre per la ricchezza materiale, il suo cervello orientato alla politica e la sua enorme volontà; di sua madre la pie­tà, la purezza, la semplicità, la sincerità, la fame interiore, la coscienza dell'anima; e di sua moglie l'ispirazione, il servizio devoto, il sacrificio costante: erano tutti presenti nella vita di Gandhi.

Andò in Inghilterra per studiare legge quando aveva diciannove anni. Tre anni dopo tornò in India e iniziò a praticare l’avvocatura. Ahimè, in quei giorni, nella sua pratica, ricevette la ghirlanda non della vittoria, ma del triste fallimento. A quel punto cercò di diventare un inse­gnante di scuola superiore a Bombay... anche qui Dio gli negò il successo. La do­manda di Gandhi per diventare inse­gnante non fu accolta... Ma nel 1893, l'opportunità bussò alla porta della sua vita. Il cuore di questo giovane avvocato soffriva per i suoi connazionali vittime di spietate ingiustizie in Sud Africa. Partì per l'Africa. Difese il loro caso, la loro causa. Li aiutò e li servì. Lì, in Africa, di­venne gradualmente un avvocato del grado più alto. Mahalakshmi, la Dea del­la bellezza e dell'abbondanza, benedisse il suo cuore con la bellezza, e la sua vita esteriore con l’abbondanza. Il denaro, l'uccello, volò verso di lui e si sedette dolcemente sulla sua mano. Il successo, il cane, corse verso di lui e si sedette fedel­mente ai suoi piedi.

Dietro l'uccello e il cane, arrivò un es­sere umano da una terra lontana, ispirò il suo cuore di aspirazione e illuminò la sua mente ricercatrice, per realizzare gli ideali della sua vita. La vita di Gandhi di­venne la perfetta espressione dell'ispira­zione di Tolstoj. Al fine di mettere in pratica i suoi ideali, mise da parte la co­rona e il trono delle sue conquiste este­riori. Abbracciò l'ahimsa. Abbracciò il satyagraha. Fu uno di coloro che risve­gliarono la nazione addormentata e ispi­rarono il Paese oppresso e depresso, a uscire dal giogo straniero. Ebbe successo. A questo punto, il suo fragile corpo non era più estraneo a brutalità disumane. Dovette subire, più volte, severe pene de­tentive. Dopo essere stato imprigionato per la prima volta, l'11 gennaio 1908, os­servò:

"Ci sentiremo felici e liberi come un uccello, anche dietro le mura della pri­gione. Non ci stancheremo mai di andare in prigione. Quando l'intera India avrà imparato questa lezione, sarà libera. Per­ché, se il potere alieno trasforma l'intera India in una vasta prigione, non sarà in grado di imprigionare la sua anima."

La sua liberazione dall'ultima reclusio­ne avvenne il 6 maggio 1944. Trascorse in carcere non meno di duemilatrecento­trentotto giorni.

La sua vita esteriore soffrì. La sua vita interiore trionfò. La sua vita e la convin­zione della sua anima divennero indivisi­bili. L'indipendenza del suo Paese diven­ne l'oggetto delle preoccupazioni della sua anima. Gli "intoccabili" del suo Paese divennero l'oggetto delle preoccupazioni del suo cuore. Bharat Mata (Madre India) mise le sue mani di Infinita Generosità sulla testa del suo figlio devoto. Gli in­toccabili del suo Paese scoprirono il loro rifugio nel suo cuore sconfinato.

Per la redenzione delle indicibili soffe­renze degli intoccabili, il cuore di supre­mo sacrificio di Gandhi esprime:

"Non voglio rinascere, ma se devo ri­nascere dovrei rinascere intoccabile, per condividere i loro dolori, le loro sofferen­ze e gli affronti loro rivolti, per cercare di liberare me stesso e loro, dalle loro con­dizioni miserabili."

Conosciamo tutti la suprema necessità dell'umiltà nella vita di un cercatore. Se non c'è umiltà, non c'è Realizzazione del­la Verità Infinita. Bisogna essere umili come la polvere. Ma l'umiltà di Gandhi vuole andare oltre. Lui dice: "Il cercatore della verità dovrebbe essere più umile della polvere. Il mondo calpesta la polve­re sotto i suoi piedi, ma il cercatore della verità dovrebbe umiliarsi così tanto che anche la polvere potrebbe calpestarlo. Solo allora, e non fino ad allora, egli avrà un assaggio della verità."

Il mondo, specialmente il mondo cri­stiano, ha paura delle conseguenze del peccato. Un cristiano è più preoccupato del proprio peccato di qualsiasi altro uo­mo sulla Terra. Il cuore indiano in Gandhi parla del peccato: "Io non cerco redenzione dalle conseguenze del pecca­to, io cerco di essere redento dal peccato stesso."

Un Vedantino, uno studioso del Ve­danta, proclamerà che non esiste il pec­cato. È solo un gioco d'ignoranza.

Gandhi mette in luce il concepimento e la continenza:

"Penso che sia il colmo dell'ignoranza credere che l'atto sessuale sia una fun­zione indipendente, necessaria come dormire o mangiare. Il mondo dipende per la sua esistenza dall'atto della gene­razione, e poiché il mondo è il 'parco giochi' di Dio e un riflesso della Sua Glo­ria, l'atto della generazione dovrebbe es­sere controllato, per la crescita ordinata del mondo. Colui che realizza questo, controllerà la sua lussuria ad ogni costo, si doterà della conoscenza necessaria per il benessere fisico, mentale e spirituale della sua progenie, e darà il beneficio di tale conoscenza ai posteri."

Madre Terra è veramente orgogliosa della sincerità di suo figlio Gandhi. Egli disse: "Per me l'osservanza del brahma­charya [castità] anche corporeo è stata piena di difficoltà. Oggi, cioè all'età di sessant'anni [1929] posso dire che mi sento abbastanza al sicuro, ma devo an­cora raggiungere la completa padronan­za del pensiero, che è così essenziale."

Gandhi si sposò all'età di 13 anni ed ebbe quattro figli.

Il digiuno ha giocato un ruolo impor­tante nella vita di Gandhi. Il suo valido consiglio è: "Mangia solo quando hai fa­me e quando hai lavorato per procurarti il cibo." Questo mi ricorda una storia Zen:

Il maestro Zen cinese Hyakujo, lavo­rava molto duramente con i suoi disce­poli, anche alla veneranda età di ot­tant'anni. Era solito potare gli alberi, pu­lire i terreni, curare il giardino e così via. I suoi discepoli erano molto colpiti da questi sforzi. Sapevano bene che non sarebbe servito a nulla suggerirgli di smettere di lavorare, non li avrebbe ascoltati. Poi un'idea brillante balenò nelle loro menti: nascosero i suoi attrez­zi. Il Maestro fece la sua parte: smise di mangiare. Questo continuò per diversi giorni. I discepoli scoprirono perché non mangiava. Gli restituirono i suoi stru­menti... con un sorriso, egli prese gli attrezzi ed esclamò: "Niente lavoro, nien­te cibo!" Ricominciò a mangiare come al solito.

Gandhi digiunava spesso, per riuscire ad ottenere i suoi risultati. Racconterò due episodi divertenti ma significativi nella vita di Gandhi. Sua moglie una vol­ta risparmiò venticinque rupie da spen­dere per uno scopo speciale. Quando Gandhi ne venne a conoscenza, portò all'attenzione del pubblico la condotta della sua povera moglie. Era furioso. Mi­se questo in luce nel suo settimanale Young India con il titolo "La mia ver­gogna, il mio dolore" e osservò un digiu­no di tre giorni! Aveva insegnato a sua moglie che non ci dovrebbero essere effetti personali, e a non accumulare de­naro.

In un'altra occasione Gandhi fece voto che avrebbe digiunato fino alla morte. Il Gurudev di Gandhi, Rabindranath Tago­re, disse subito ai suoi compatrioti, ren­dendosi conto della gravità del voto di Gandhi: "È venuto dopo mille anni. Lo rispediremo di nuovo a mani vuote?"

Tagore una volta osservò:

"Sono diverso da Gandhi per molti aspetti, ma ammiro e venero molto quell'uomo." Almeno in un aspetto della vita, vediamo la differenza tra queste due grandi anime. Nella rinuncia Mahatma ha trovato la sua liberazione, mentre Ta­gore ha trovato la sua liberazione nel frutto dell'adempimento. Tagore canta: "La liberazione non è per me nella rinun­cia. Sento l'abbraccio della libertà in mil­le legami di gioia." I veggenti delle Upa­nishad cantano attraverso il cuore del Mahatma: tena tyaktena bhunjita: gioisci attraverso la rinuncia.

Il primo ministro Nehru, durante il suo discorso al Congresso degli Stati Uniti il 13 ottobre 1949, parlò del padre della nazione indiana:

"In India è venuto un uomo della no­stra stessa generazione che ci ha ispirato a grandi sforzi, ricordandoci sempre che il pensiero e l'azione non dovrebbero mai essere separati dal principio morale, che il vero sentiero dell'uomo è il sentiero della verità e della pace. Sotto la sua gui­da abbiamo lavorato per la libertà del nostro Paese, senza ostilità verso nessu­no, e l'abbiamo raggiunta. Lo abbiamo chiamato con riverenza e affetto il Padre della Nazione. Eppure era troppo grande per i confini circoscritti di un qualsiasi Paese, e il messaggio che ha offerto po­trebbe aiutarci a lavorare sui problemi ancor più ampi del mondo."

Quattro giorni dopo, il 17 ottobre, par­lando alla Columbia University, Nehru parlò di nuovo del suo mentore, guida e maestro:

"Il grande leader del mio Paese, il Ma­hatma Gandhi, sotto la cui ispirazione e protezione sono cresciuto, ha sempre po­sto l'accento sui valori morali e ci ha av­vertito di non subordinare mai i mezzi ai fini. Non eravamo degni di lui e tuttavia, al meglio delle nostre capacità, abbiamo cercato di seguire il suo insegnamento. Anche la misura limitata in cui potemmo seguire il suo insegnamento produsse ricchi risultati."

Krishnalal Shridharani, il noto autore di My India, My America, ha qualcosa di divertente ma sorprendente da condivi­dere con noi:

"Una volta fui invitato da una persona, decisamente liberale, a parlare in un gruppo ecclesiastico. Dopo il mio discor­so su Gandhi e la sua nonviolenza, ci sia­mo ritirati nel suo ufficio. Egli era pieno di lodi per il carattere di Gandhi come uomo, i suoi alti ideali, la sua condotta, ma dubitava sinceramente che Gandhi potesse mai entrare in Paradiso fino a quando il peso dei peccati del Santo indù non fosse stato delegato a Cristo. Io ri­sposi che, secondo il mio modo di pen­sare, la vita di Gandhi era stata l'appros­simazione più vicina alla 'vita di Cristo' ed espressi anche un certo timore per le possibilità che il resto di noi moderni mortali avrebbe, se a Gandhi fosse stato negato il Paradiso!"

Ora ascoltiamo da Gandhi cosa lui stesso ha da dire sulla propria salvezza o sul suo andare in Paradiso:

"Era impossibile per me credere che potessi andare in Paradiso o raggiungere la salvezza solo diventando cristiano. Quando lo dissi francamente ad alcuni buoni amici cristiani, rimasero scioccati! Ma non ci si poteva far niente."

Gandhi dice della religione: "Dopo un lungo studio ed esperienza sono giunto alla conclusione che (1) tutte le religioni sono vere; (2) tutte le religioni contengo­no qualche errore; (3) tutte le religioni mi sono care quasi quanto il mio indui­smo."

Ogni individuo ha diritto ad avere un Dio suo. Ognuno è abbastanza compe­tente da definire Dio, secondo la sua ri­cettività interiore e capacità esteriore. Il Dio di Gandhi non è altro che Verità. Di­ce: "Ci sono innumerevoli definizioni di Dio, perché le Sue manifestazioni sono innumerevoli. Mi travolgono di meravi­glia e timore reverenziale, per un attimo mi stordiscono. Ma adoro Dio soltanto come Verità."

Alcuni personaggi illustri lo hanno definito il San Paolo, San Tommaso e San Francesco d'Assisi dell'era moderna. Io lo chiamo l'Oceano Pacifico dell'Amore del Cuore e della Compassione dell'Anima. Forse mi sbaglio. Forse ho ragione. Ma sono irremovibile nella mia affermazione che il Mahatma Gandhi non è il tesoro esclusivo dell'India, ma un impareggiabi­le orgoglio dell'umanità; e rimarrà tale per secoli.

From:Sri Chinmoy,Mahatma Gandhi: il cuore della vita, Agni Press, 1994
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