Così, quando proviamo a competere con gli altri in questo modo, quando sentiamo che siamo un'esistenza e qualcun altro è un'altra esistenza, in quel momento la competizione non ci aiuta affatto. Qui stiamo cantando il canto della separatività, e la separatività è qualcosa che non potrà mai darci gioia o soddisfazione durature. Il senso di separatività è a dir poco confusione, e confusione e distruzione sono amiche intime.
Ma c'è un altro tipo di competizione che è l'autoeccellenza. Qui si cerca di trascendere i propri successi. Si fa solo nella propria coscienza, nella propria realtà. Eppure dentro la propria realtà, la Realtà universale è là; tu, lui, lei, tutti sono là.
Supponiamo che io sia stato assalito da dubbi ieri per tre ore riguardo al mondo in generale. Oggi cercherò di competere con la mia stessa realtà per non avere così tanti dubbi. Oggi cercherò di schierarmi dalla parte della fede e cercherò di sviluppare più fede nella mia esistenza. Qui sono in competizione con me stesso, con quello che avevo e quello che ero ieri. Non sto adottando alcun mezzo scorretto. Non sto cercando di conquistare gli altri o di dominarli, lungi da ciò. Come essere umano, sono nell'ignoranza; una brulicante ignoranza mi ha coperto. Ma sto cercando di disperdere queste nuvole di ignoranza per sempre. Se gareggio con le mie capacità e porto più illuminazione in primo piano dall'interno, allora posso trasformare la mia natura, espandere la mia capacità e compiere la Volontà di Dio in modo più devoto e incondizionato. Vale la pena di fare questo tipo di competizione.
Sono sempre in competizione con me stesso, con il mio sé inferiore. Sto cercando di portare in primo piano il mio sé superiore per illuminare il mio sé inferiore, in modo che alla fine non ci sarà affatto un sé inferiore; sarà tutto un sé superiore, tutto un sé di illuminazione totale. Questo tipo di competizione, secondo me, è buona. Non sto coinvolgendo gli altri e non sto adottando alcun mezzo scorretto. Qui sono in competizione con i miei successi per fare progresso. E il progresso, che trascende lo sforzo e il progresso continuo, è ciò di cui abbiamo bisogno.
Il progresso è un termine relativo. Ciò che tu chiami perfezione, io potrei non chiamarlo perfezione. La perfezione è soddisfazione e l'idea di soddisfazione di ogni individuo è diversa. Un bambino lancia una palla contro il muro e rompe qualcosa. Ottiene gioia e questa è la sua perfezione. Stai davanti a un bambino con una caramella e lo implori di prenderla, ma non ha tempo. Corre da qualche altra parte perché il suo tempo è così prezioso. Non prende la caramella da te. Questa è la sua soddisfazione.
Nella vita spirituale, la perfezione del cercatore, che è soddisfazione, deriva dal suo raggiungimento costante e autotrascendente. Cantiamo il canto dell'autotrascendenza. Sappiamo nel processo di evoluzione quanto in alto abbiamo scalato l'albero della realtà. Se ieri siamo saliti su un ramo, oggi faremo del nostro meglio per salire devotamente su un ramo più in alto. Questa brama, questo anelito intenso di trascendere se stessi, è la vera soddisfazione.
Dico sempre che la meta non è statica; la meta è una realtà sempre trascendente. La soddisfazione è la nostra meta, ma vediamo che la meta stessa è salire in alto, più in alto, altissimo e correre lontano, più lontano, lontanissimo e tuffanrsi in profondità, più in profondità, profondissimo.
L'obiettivo di un bambino è imparare l'alfabeto. Poi il suo obiettivo diventa la scuola materna, la scuola primaria, il liceo e l'università. E quando finisce il suo percorso universitario, se è sincero, si rende conto che c'è molto di più, infinitamente di più, da imparare. Una volta uno studente universitario si vantava dei suoi successi. Disse a Madre Terra: "Ho completato il mio corso. Quindi guardami, guarda cosa ho raggiunto." Ma Madre Terra disse: "Figlio mio, hai appena imparato la prima lettera dell'alfabeto. Ora siediti e impara il resto."
L'obiettivo è sempre più alto, più alto, nel più alto. Qualunque cosa otteniamo può essere l'obiettivo di oggi, ma non può mai essere l'obiettivo di domani. L'obiettivo di domani è qualcosa di infinitamente più alto, infinitamente più illuminante e infinitamente più appagante. La perfezione, che è soddisfazione, non è altro che una costante autotrascendenza. Quindi qui vorrei dire che competiamo, ma competiamo con noi stessi, con i nostri risultati, non con gli altri.From:Sri Chinmoy,Il significato interiore dello sport, Agni Press, 2007
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